Post n° 4 - L’incoscienza dell'autocoscienza
Cari conoscenti e sconosciuti, amici e nemici (o, per dirla alla Mario Monicelli, cari fottutissimi amici), riprendiamo il discorso iniziato nel post precedente...
Eravamo
rimasti alle seguenti domande:
- Cosa ci impedisce di renderci conto che siamo parte del Tutto, ovvero della coscienza energetica da cui si è generata la materia?
- Per quale motivo non ce ne rendiamo (o non dobbiamo rendercene) conto?
Quello che
ci impedisce di accorgerci di questa verità, cioè che noi, in quanto creazione
e creatore, siamo contemporaneamente qui nella materia e al di fuori di essa, è
dovuto dal formarsi dell’autocoscienza.
Dal punto di vista della psicanalisi
junghiana, l’autocoscienza (ovvero la capacità di rendersi conto di esistere) è
un meccanismo già presente in ogni
essere umano appena nato, ma non si manifesta immediatamente in modo completo. Infatti,
pur comprendendo di esistere all’interno del corpo, un neonato percepisce
ancora istintivamente di essere parte del Tutto, rendendosi conto, quindi, che
egli è, esiste, ma essendo ancora
privo di una identità (cosa non indispensabile né presente nella completezza
del Tutto). È solo vivendo i primi conflitti col mondo esterno (i genitori che non
intervengono immediatamente al suo pianto, il biberon che non arriva subito a
sfamarlo, assenza di gesti affettuosi, ecc.) e con l’aumentare e il ripetersi
di queste esperienze che nel bambino, via via che cresce, l’autocoscienza
subisce uno sviluppo tale da intensificarsi fino a portarlo all’idea di individualità. Così, già nei mesi
successivi alla nascita, l’essere umano crea in sé l’idea di essere un
individuo separato da tutti gli altri, identificandosi completamente nel
proprio corpo e legandosi alla percezione del tempo, per adattarsi al mondo che
lo circonda. Per quanto possa sembrare negativo, una sorta di trappola o
prigione (secondo molte persone e la loro visione new age), questo processo
istintivo di autoriconoscimento e affermazione dell’Io è un percorso necessario per vivere l’esperienza
dell’incarnazione. Infatti è proprio perdendo la consapevolezza di appartenere
al Tutto che il bambino, sentendosi separato dal mondo che lo circonda, può
definire chi è, creando una divisione
e una tensione tra sé e l’universo, le quali alimenteranno la sua vita
psicologica di individuo portandolo a formare la propria personalità e il suo
rapporto con gli altri fino all’età adulta. Questo processo, quindi, è
indispensabile per far sì che nasca nel bambino l’idea di essere un individuo
unico e vivere la sua vita legato all’impressione di avere un’identità
proiettata nel tempo. Tuttavia la formazione di un Io eccessivamente forte e,
in molti casi, rigido, potrebbe ostacolare la sua capacità di adattarsi al
mondo circostante. Nonostante il necessario sviluppo della propria autonomia,
infatti, l’essere umano continua a conservare in sé il bisogno istintivo di
restare unito a ciò che lo circonda, non potendo fare a meno degli altri per
sviluppare il proprio Io attraverso la connessione con gli altri individui
generata dall’amore. Per tutta la durata della vita terrena, l’individualità
dell’essere umano ha bisogno del rapporto con gli altri per delineare le
differenze e abbracciare le similitudini con loro, in un equilibrio sempre in
bilico tra sensazione di unità e separazione. Questo paradosso può terminare
solo se e quando l’Io nell’età adulta riesce a entrare in rapporto con la parte
più profonda dell’essere, ovvero il Sé. Superando l’idea di divisione tra sé e
gli altri, l’individuo diviene se stesso ma con un senso di unione col mondo
grazie a un lungo lavoro introspettivo e a un esercizio di controllo sulla
propria autocoscienza per tornare a essere uno
nella sensazione di differenza causata dall’apparente separazione con gli atri.
In sostanza, uno dei problemi principali che ci porta a creare
idee rigide su noi stessi e soprattutto sulle altre persone, tanto da arrivare
a creare conflitti con gli altri da cui poi scaturiscono rabbia e tristezza che
si trasformano in varie forme di stress o in depressione, portandoci a disturbi
fisici di ogni genere, è l'idea apparente che siamo tutti divisi. In realtà a
livello energetico (o di coscienza) siamo una cosa sola. È il fenomeno che da
varie filosofie orientali viene chiamato dualità. Il superamento di questa
illusione porta chiunque riesca ad arrivarci al raggiungimento della
consapevolezza definita non-dualità.
Per comprendere meglio il concetto, come avrete sicuramente notato, all'inizio del post vi ho lasciato un breve video dal titolo “Che cos’è la non-dualità”, di Paul Smit, che ne spiega in modo chiaro e semplice il meccanismo. Buona visione e buona riflessione.
Fonte del video: https://www.youtube.com/watch?v=MA7z1keqLWg
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