Post n° 3 - Ogni cosa ha un inizio e una fine
Siamo nati per morire. Questa è
una realtà certa e inevitabile, ed è perfetta e giusta come natura ha
stabilito. Accettato questo punto, da qui in poi è possibile riuscire ad
accettare anche tutto quello che accade nel mondo e nelle nostre singole vite, in
primis che il mondo è perfetto così come è. Gentilmente, non cominciate a dire
“Come fa ꞌsto matto ad affermare che il mondo è perfetto?!”. Per i più
distratti e per quelli particolarmente testardi e orgogliosi (e, diciamolo,
spesso anche un po’ cacacazzi) specifico che non ho scritto il mondo è perfetto ma il mondo è perfetto così
come è. Il mondo è pieno di egoismo, dolore, odio, razzismo, guerre,
di varie forme di violenza psichica e fisica, ma anche di gioia, allegria,
bontà, serenità, pace e fratellanza. E ciascuna di queste cose negative e
positive è perfetta, perché può spingerci a cercare ognuno in se stesso
l’equilibrio tra ombra e luce, trovando il modo di imparare a gestirci per
essere la miglior versione di un essere umano. Perché, come disse un saggio
nativo americano: “Non sono un uomo che vuole vivere spiritualmente, sono uno
spirito che cerca di essere un uomo”. Infatti, nonostante quello che pensano
molti seguaci di gruppi di ricerca interiore e praticanti di tecniche di
meditazione, non siamo qui per raggiungere l’illuminazione rinnegando la nostra
umanità ormai fin troppo disprezzata. La realtà è che siamo esseri di luce
incarnati per sperimentare e accettare amorevolmente la nostra e l’altrui
condizione umana. Solamente accettando e rispettando i limiti e le debolezze
umane possiamo evolvere mentalmente ed energeticamente, giungendo al risveglio
in modo naturale attraverso le esperienze vissute. Ostinarsi a forzare il
proprio risveglio interiore tramite la pratica di tecniche comprese spesso in
modo superficiale e praticate solo come via di fuga, è un rischio che può
portare solo a prendere le distanze dagli altri con arroganza, illudendosi di
essere migliori. E, nei casi peggiori, la meditazione praticata senza un vero
lavoro sul proprio ego e sui propri atteggiamenti negativi può portare a
sviluppare in eccesso il flusso energetico, correndo il pericolo di generare
problemi a livello psichico. Inoltre è proprio imparando ad accettare anche
tutti gli aspetti negativi dell’umanità che si può riuscire a integrare la
parte negativa di se stessi scaturita dall’irrigidimento dell’ego e dalla
mancata comprensione e accettazione delle ferite emotive ricevute negli anni.
Sono proprio quelle ferite inconsce a impedirci di comprendere che le altre persone
non sono cattive ma semplicemente indurite a causa del dolore e delle paure,
fino al punto di sfogare la loro rabbia verso l’esterno. Accettare questo
significa poter smettere di vedere cattivi e nemici ovunque, arrivando a
comprendere e perdonare. C’è da dire che, in alcuni casi, perdonare non deve
necessariamente corrispondere a continuare una relazione di amicizia, di coppia
o parentale. A volte, nonostante si riesca a perdonare gli altri per il dolore
subito da loro, è necessario allontanarsi da certe persone liberando se stessi
da quel tipo di atteggiamento negativo e contemporaneamente lasciandole libere
di poter continuare a essere come sono, senza volerle cambiare, ma tutelandoci
dai loro comportamenti.
Fatta questa premessa, facciamo un passo indietro per poter procedere con
maggior chiarezza e proviamo a rispondere a una domanda ricollegandoci al
titolo del post. Abbiamo veramente una fine? Dal mio (ma non solo mio)
punto di vista, no. Noi non moriamo, e questo perché in realtà non nasciamo neppure.
Il che ci porta a un’altra domanda. Chi o cosa siamo? A mio avviso, dopo
quasi trent’anni trascorsi a riflettere sulle esperienze vissute, sento di
poter affermare che, in un certo senso, siamo particelle del
Tutto. Okay, non è roba partorita completamente dalla mia immaginazione ma in
gran parte da esseri umani veramente illuminati e saggi vissuti nei secoli
passati a cui mi sono avvicinato filosoficamente grazie alle mie intuizioni e,
successivamente, ai libri letti che hanno confermato e rafforzato ciò a cui ero
giunto. Ognuno di noi, al di là del corpo fisico in cui si identifica, è pura
coscienza, parte di quella coscienza
da cui si sono generate la materia, l’universo e le forme di vita che lo popolano.
La coscienza primordiale da cui deriviamo e di cui facciamo parte tutti (anche le
prostitute, i bugiardi, i corrotti, gli alcolizzati, gli
spacciatori, i pedofili, tutti gli uomini e le donne che commettono
violenza in ogni sua forma e, pensate un po’, perfino i politici e i
dittatori) è quel qualcosa che
è stata chiamata con diversi nomi o appellativi (Manitù, Yahweh, Dio, il Tutto, l’Uno, ecc.) ma che non corrisponde all’idea
strettamente religiosa di Dio. Non è un essere superiore che giudica
l’operato umano stabilendo chi, alla fine della sua vita terrena, riceverà
il premio eterno (paradiso) o la punizione (inferno). Quello è il dio creato dall’uomo a sua immagine e
somiglianza. In realtà è un’intelligenza priva di forma che permea la materia e
contemporaneamente è al di fuori di essa. Infatti, come hanno sostenuto
anticamente molte tribù tra cui quelle dei nativi americani, è una coscienza
sia immanente (ossia
che fa parte della realtà abitata dall’uomo) che trascendente (cioè
che si trova oltre la nostra realtà materiale). Noi esseri viventi, in quanto
emanazioni della coscienza primordiale, siamo allo stesso tempo il creatore e
la creazione. In pratica siamo l’osservatore e la realtà materiale
osservata, cosa che potrebbe dare maggior senso all’ipotesi derivata da
vari esperimenti di meccanica quantistica a sostegno del fatto che la realtà è
la risultanza tra osservatore e osservato, cioè la realtà viene influenzata
dall’osservatore, o addirittura, come detto da teorie più rispondenti alla
metafisica che alla scienza, che la realtà esiste perché c’è un osservatore a
osservarla. Quindi, sconfinando nella
metafisica appunto, la realtà è determinata dalla presenza di un osservatore
che ne influenza il comportamento a livello particellare definendone
l’esistenza nella forma che l’osservatore crede che abbia. Per essere più
chiari (almeno spero), se noi siamo contemporaneamente sia la materia osservata
che l’osservatore/creatore della materia, la realtà oggettiva e soggettiva
che ci circonda e della quale facciamo parte prende forma attraverso il
nostro osservare inconsapevolmente noi stessi. Noi siamo ciò che viene osservato
e siamo ciò che ci osserva. In pratica siamo ciò che osserva se stesso
in molteplici forme tangibili esistenti simultaneamente ma tutte interconnesse tra
loro in quanto derivanti da un’unica fonte originaria. E nell’osservare
noi stessi influenziamo la nostra vita attraverso le scelte che prendiamo
in conseguenza di una certa situazione. Anche le nostre scelte in
teoria non dipenderebbero dalla nostra capacità di immaginarle ma dal captare quella ipoteticamente più giusta secondo
noi, selezionandola all’interno di un’infinita serie di possibilità già
predisposte dall’esistenza.
Come sostennero
anche Niels Bohr e Werner
Heisenberg nel 1927 elaborando
l’interpretazione di Copenaghen, l’universo esiste in quanto numero infinito di possibilità
tutte presenti contemporaneamente come possibili. A questo discorso
credo sia possibile collegare il tema riguardante
la predestinazione e il destino. Ci sono opposti punti di vista
sull’argomento: c’è chi è assolutamente fatalista, chi crede che il destino sia
modificabile almeno in parte e chi non crede possano esistere avvenimenti
preorganizzati e risolve ogni questione giustificando gli eventi con le
etichette fortuna e sfortuna.
Personalmente credo che l’esistenza abbia previsto ogni possibilità e ogni
eventuale conclusione, ma che questo meccanismo non sia totalmente
indipendente dalla nostra volontà. Infatti, essendo ognuno di noi entità apparentemente
individuali che fanno parte del Tutto, prima di incarnarci scegliendo il nostro
programma karmico (legato alla scelta della famiglia in cui nascere, la
nazione, l’etnia, il periodo storico e sociale, la nostra salute fisica alla
nascita, il sesso, la sessualità, ecc.), stabiliamo
le tappe fondamentali della nostra vita terrena, organizzando per esempio una
certa quantità di persone con le quali incroceremo i nostri destini per tempi
lunghi o brevi e le situazioni che vivremo in conseguenza di questi incontri.
Il modo di vivere ognuna di queste esperienze e le scelte a cui ci
indirizzeranno di volta in volta porteranno noi stessi a modificarci e a
modificare parzialmente la conclusione di ognuna di queste, o
meglio, a portarci verso la conclusione migliore (sia essa positiva che
negativa) per la nostra evoluzione, selezionandola tra una delle infinite
possibilità già predisposte dall’esistenza. Quello che la scienza non ha
ancora preso veramente in considerazione, quindi, è che l’energia alla base
dell’esistenza della materia è l’osservatore, cioè quella stessa forza
creatrice che filosofie e religioni hanno chiamato Dio, il quale è contemporaneamente presente nell’universo e in tutto
ciò che lo abita. Noi siamo parte di quel qualcosa che chiamiamo Dio e
generiamo la nostra esistenza fisica e parte del destino che la riguarda. Ma, a
questo punto, potrebbero sorgere altre due domande. Cosa ci impedisce di
renderci conto di questo meccanismo? E perché non ce ne rendiamo conto? A
questi dubbi proverò a rispondere più avanti.
N.B. ci tengo a specificare che ho espresso questo concetto ripetendolo più volte in diversi modi per evitare la possibilità di equivocare il senso del discorso, e non perché sono rincoglionito 😅
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